Biografia e Critica di * Retrospettiva di G. A. CAVELLINI
torna indietro
Guglielmo Achille Cavellini - Operazione Video-tape A New York, performance NY con Higgins III ottobre 1982, stampa fotografica da video performance, cm 24x24. Opera firmata e datata in basso a destra e intitolata in basso a sinistra. Cinque francobolli dell’autore al retro dell’opera. Courtesy Collezione Piccolo, Venezia.
GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914-2014
Siglare nelle opere la data che celebra il proprio Centenario è stata una delle peculiarità nell’attività di Guglielmo Achille Cavellini a partire dal 1971, anno in cui decise che attraverso un meccanismo di Autostoricizzazione gli sarebbe stato permesso di incidere sull’identità dell’artista quasi sempre fuorviata e repressa da un sistema incapace di intenderne le libertà. Azione questa che lo portò a destrutturare le condizioni del sistema stesso per condurle, a suo piacimento, in un ambito creativo nuovo che a molti parve un eccesso di megalomania ma che un contesto internazionale attento e desideroso di un cambiamento di queste condizioni acclamò come una nuova via dell’arte che, a partire da allora, l’avrebbe riavvicinata alla vita reale spostandola dalla rigidità evoluzionista in cui ancora si dibatteva, nonostante gli sforzi delle Avanguardie storiche del primo Novecento. Un’anticipazione questa che precorre un concetto di liquidità sociale applicata allo specifico che sembra prevalere nell’analizzare il sistema complessivo della nostra epoca. Tutto ciò per partire dalla fine e da quel work in progress che non senza un poco di meraviglia è vicino a concludersi ma la storia di GAC artista, usando l’acronimo con cui si firmava nel quale si specifica la sua formula comunicativa, ha ben più complessi antecedenti che di quell’atto finale sono un incipit molto più coerente di quanto non si possa pensare. Il suo avvento sulla scena dell’arte, ormai documentato da numerose biografie e autobiografie, si concretizza nell’incontro con Emilio Vedova a Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione e da allora ne è stato un continuo attraversamento attuato da un arbitro speciale, non un artista come tanti altri con la sua piccola o grande innovazione, uno stile, ma un individuo che conduce un giudizio illuminato, prima sulla sua generazione e poi sul resto del mondo e sulle trasformazioni che ha prodotto fino a che è stato in vita.
Credo sia questo l’unico modo per coglierne la presenza, senza fraintendimenti sulla questione dei ruoli e sui cambiamenti di stato che sono un argomento stantio nel definire un comportamento che stava ormai nel futuro. Con quell’incontro del 1946 scopre una nuova arte astratta europea, capace in un attimo di far svanire nel nulla i suoi primi tentativi espressivi autodidatti che, rivisti oggi, testimoniano la sua innata artisticità, e ci volle poco perché decidesse che fosse più producente farsene paladino per metterla in luce verso il mondo piuttosto che continuare l’apprendistato su argomenti che stavano oramai fuori da quella contemporaneità. Basterebbe questo atteggiamento per decidere di escluderlo dalla storia del collezionismo per introdurlo nella storia dell’arte. E’ questo il suo primo giudizio, un giudizio da artista che, liberato dai propri fantasmi, sceglie di articolare la sua presenza all’interno dell’esperienza generazionale che forniva le novità più pregnanti con cui era venuto improvvisamente in contatto. E’ per ciò che parlo di giudizio, come poi avverrà per il resto delle sue frequentazioni e si tradurrà in quel lavoro in fieri di cui si è detto, portandolo al punto di creare un piedistallo per l’arte degli altri come fosse la sua o quella che non avrebbe avuto bisogno di fare perché già in atto in un contesto che trovava più producente condurre piuttosto che partecipare. Fin qua il primo atto che, condotto in porto con la pubblicazione del libro Arte astratta e con l’esposizione di una selezione delle opere presso
Sembra proprio che ci siano i termini per constatare un’ulteriore preveggente anticipazione sui tempi a venire che tanti fiumi di parole hanno fatto scrivere senza individuare il soggetto vero delle cose, l’opera che le accompagnasse. Ed eccola allora quella scrittura incessante che copre tutto per svelare la coscienza individuale, il senso di sé nell’essere attore della coscienza di tutti. E’ con questo atto nuovo che GAC esplode, come se quelle opere post che necessitano per affermare un pensiero nuovo su se stessi volesse farle tutte lui. Ed esplode anche la comunicazione, senza Rete senza Socialnetworks, bisogna attuare da soli anche quella e non lasciare alcunché di intentato. Nascono così le Mostre a domicilio, cataloghi-opera in diecimila copie che viaggiano in tutto il mondo per rimpiazzare la staticità dei luoghi deputati, per diffondere, segnalare, scrivere una post-storia che non ha tutti i vincoli della precedente. Tutto via Posta, il modo migliore per occupare tutti gli spazi possibili, con una rete che si crea da sé, senza condizioni, senza mercato. I soggetti sono sempre gli altri, ma smaterializzati, ridotti ad idea funzionale a sé stesso, come nelle 25 lettere ai grandi della storia con cui si coinvolge in relazioni amicali, o I Frontespizi di famosi libri di ogni tempo di cui diviene il principale protagonista, e così via in un eccesso parossistico di riscrittura dove tempo e spazio si frammentano, ed ancora diventano liquidi ed incapaci di costruzioni stabili ed esclusive.
Sappiamo bene che la libertà non arriva da questa condizione, anzi come ne abbiamo riprova oggi ne è ulteriormente complicata , ma se non si scardina il lessico che la descrive, come hanno fatto i Ready made duchampiani a suo tempo, non avremo l’occasione per conquistarla. GAC questa ulteriore operazione la fece a suo tempo, forse troppo in anticipo perché venisse compiutamente recepita. Chissà che la ricorrenza del 2014, ora così vicina, non ci porti l’occasione per finalmente riconoscerlo?
GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
L’arte tra ironia, utopia e vita
“Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del pubblico e della società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e singolare attività. La saluto e la elogio. Vivissimi auguri”.
(Da una lettera di Jean Dubuffet a Guglielmo Achille Cavellini, del 15-10-1978)
E’ proprio GAC per primo a porre in modo evidente il problema della mercificazione e del condizionamento da parte del potere culturale attuando per reazione un straordinario “attivismo di contrasto frontale” con il sistema impenetrabile dell’arte ufficiale. L’arte, dopo essere stata relegata per molto tempo al chiuso delle idee, con l’attuazione dell’autostoricizzazione” diveniva liberazione, apertura delle frontiere culturali che si integrava nella vita. Cavellini si ritrova a condividere contemporaneamente vari campi d’esperienza trasversali e alternativi alle proposte della cultura ufficiale; dalla pittura alla poesia visiva, dalla body art alla performance, collocandosi apertamente ai margini di un sistema, in una zona franca, ovvero “in una periferia di confine praticabile” abbracciando concretamente una pratica che di fatto assorbiva diverse esperienze convogliandole in nuove possibilità creative. Inoltre, con la preferenza e l’utilizzo della Mail Art poteva finalmente confrontarsi a 360 gradi con artisti di diversa esperienza e latitudine sparsi in tutto il mondo. Una pratica, quindi, “di lucido confronto” che poteva fare a meno del mercato dell’arte. Dal
Dopo
“ Carboni accesi ”
(Poema visuale dedicato a Guglielmo
Achille Cavellini in occasione del Centenario
del 2014)
Muri caduti,
arie sottili aleggiano vivide nel buio cupo della notte,
inseguono curiose primavere andate
prima di svanire all’improvviso.
Ho attraversato labirinti oscuri che non mi fanno più dormire.
Solo i ricordi non hanno peso.
Camminare a passi stretti,
cerco invano tracce di senso da dare alla mia esistenza,
mi trascino i miei cinquantacinque chili di ossa
annegati dentro una casacca di carne.
Tutt’intorno il silenzio.
L’arte è la mia vita,
buste bianche, timbri, francobolli
e un vecchio orologio appeso a scandire le mie ore.
Bisogna raccontarsi per frammenti
da conservare dentro anonime casse di legno.
L’occhio del ribelle non ha più voglia di vedere.
L’eco della mia voce rimbomba sorda,
a ferragosto ho strisciato lungo i margini senza uscita di un ascensore
e ho raccolto i miei pensieri che sembravano ortiche disseccate al sole.
Non mi guardo più allo specchio per non vedere la mia faccia.
Camera 61,
anche i sogni hanno finito di calpestare la putrida melma,
sono come macigni appesi che si consumano all’improvviso.
Ho accarezzato persino il nulla per non udire la vanità degli uomini
e mi sono trovato solo dentro un letto a S. Orsola.
Il sistema mi ha messo in croce.
Camminare stanca.
Ormai i ricordi sono come carboni spenti
in una triste giornata di dicembre,
ti accarezzano e poi fugaci svettano via lontano.
Se ti lasci andare puoi vedere anche tu la bava del tiranno disseccarsi al sole.
Tento invano di toccare la mia carne.
Capisco di essere solo.
© Giovanni Bonanno
31 luglio 2014
BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
Guglielmo Achille Cavellini (o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.
Sta forse qui il cardine per capirlo. Non è stato un artista come tanti altri, con la sua piccola o grande innovazione. Non è stata una questione di stile la sua, ma una specie di giudizio illuminato che ha ricondotto giustamente all’individuo ed al suo pensiero i balbettii di un sistema che si stava sbriciolando in mille rivoli di potere dove l’arte e l’artista rischiavano di rimanere nell’ombra. Non è poco si dirà, eppure sembra che tutto ciò ancora ai più non sia chiaro.
La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che, chiamandosi astratta, coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti, se ne innamora come pittore e offre il suo primo giudizio all’arte. Per molti sembra che il suo valore termini qui, invece quella non fu altro che la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi un’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.
Nel 1960 ha ripreso il lavoro con forza, dapprima sul versante dell’astrattismo pittorico che tanta parte aveva avuto nei suoi interessi del decennio precedente, ma con un gesto, un segno nuovi che appaiono ora come anticipatori del suo lavoro sulla scrittura che prenderà corpo più tardi.
La sperimentazione continua e nel 1965 sforna un gruppo di lavori che sono un’ulteriore tappa verso un uso diversificato dei materiali. Recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale.
E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966-1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione-appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro.
Citazione-appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro.
Nei carboni (1968-1971), che per un certo periodo sono stati un vero e proprio simbolo del suo lavoro, dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi, coniuga più apertamente i concetti appena accennati nei lavori precedenti, dalla pittura all’oggetto, dalla citazione all’appropriazione fino a far assumere a certe icone la valenza di opera propria, usando opere di altri autori oppure l’immagine dell’Italia in innumerevoli situazioni e contesti.
Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico. Il gioco e l’ironia prendono ancora più spazio lasciando posto anche al dubbio che ci si trovi di fronte ad un gesto estremo e lesionista (era sì o no Cavellini in tempi passati un famoso collezionista?).
Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione, che fu una vera e propria puntualizzazione, un modo per mettere in pratica il suo giudizio. Il termine può sembrare a prima vista un escamotage brillante e narcisista per mettersi in mostra, ma è tanto forte l’idea da intrufolarsi nel sistema dell’arte e straripare nei suoi gangli più vitali mettendone in luce ogni contraddizione.
Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi-museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.
Produce quindi i manifesti che innumerevoli musei di tutto il mondo dovranno usare per celebrare il suo centenario, abbinando al suo nome la sigla 1914-2014.
A questo punto la fantasia dell’artista, liberata da ogni pudore verso l’autocelebrazione, si scatena. Nei francobolli entra lui con la sua mimica votata allo sberleffo.
Scrive una Pagina dell’Enciclopedia partendo da una semplice cronaca autobiografica fino a sfociare in una vera e propria iperbole del culto della personalità. La sua scrittura diviene quindi una cifra pittorica usata con maniacale insistenza su tutti i supporti possibili: colonne, manichini, tele e drappi di dimensioni enormi.
E’ questa la realtà che vede Cavellini come autentico innovatore, ed anticipatore anche negli aspetti di una nuova comunicazione nell’arte, scavalcando i canonici rapporti che sembrano una base inscalfibile del sistema, dando una risposta concreta e carica di vitalità al suo messaggio di provocante giudice del territorio dell’arte. (Archivio Cavellini di Brescia)
Link di G. a. Cavellini:
http://www.cavellini.org/Cavellini.org/Home.html
http://www.cavellini.org/Autostoricizzazione/Ritratti.html
Dall’Archivio Cavellini
- Visita la sezione dedicata all’ AUTOSTORICIZZAZIONE
- Visita la sezione dedicata ai RITRATTI di GAC realizzati da Andy Warhol, Renato Birolli, Mimmo Rotella, Mario Ceroli.
VERSO IL 2014: http://www.cavellini.org/Cavellini.org/Verso_il_2014.html
http://gac2014.it/events/giornata-studi-guglielmo-achille-cavellini/
http://www.cavellini.org/Documenti/Edizioni_Nuovi_Strumenti.html